MUSEO CASA CERVI
Emilia Romagna
Entrare a Casa Cervi vuol dire entrare in uno dei luoghi simbolo della storia e della Resistenza reggiana. Ma non aspettatevi di entrare in una casa museo impolverata, non al passo coi tempi, anzi qui troverete tutt’altro: video, installazioni e pannelli illustrativi che ripercorrono la storia della famiglia e raccontano una vicenda così tragica legata a un importante pezzo di storia italiana.
Prima di parlarvi del Museo, che sorge proprio dove si trovava la casa dei fratelli Cervi e della loro storia, vi lascio un po’ di informazioni se volete pianificare una visita.
Dove: Via Fratelli Cervi 9, Gattatico (RE)
Costo: 5€
Orari di apertura: consultare il sito www.istitutocervi.it
Quella dei fratelli Cervi è una storia che non può lasciare umanamente indifferenti, fatta di sofferenze, lutti ma anche di volontà, impegno e coraggio di compiere scelte difficili.
Il Museo non racconta la sola storia dei sette fratelli, che furono fucilati tutti insieme dai fascisti, ma di tutta una famiglia: di una madre, Genoeffa Cocconi, che non resistette al dolore di una perdita simile, delle sorelle, delle vedove e dei figli che portarono avanti il lavoro nei campi e di un padre, Alcide Cervi, che si fece testimone nel raccontare l’orrore vissuto.
La famiglia. Quella di Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi è una famiglia numerosa, composta dai due genitori e da 9 figli, 2 femmine, Diomira e Rina, e 7 maschi:
Gelindo (1901)
Antenore (1904)
Aldo (1909)
Ferdinando (1911)
Agostino (1916)
Ovidio (1918)
Ettore (1921)
La famiglia è molto religiosa e impegnata in organizzazioni cattoliche locali, i cui valori si traducono in un’immediata opposizione al fascismo. Nel 1919 Alcide è tra i promotori della sezione locale del Partito Popolare Italiano. Genoeffa è, invece, una donna dalla profonda cultura e religiosità ma anche dalla forte personalità, caratteristiche che trasmette all’intera famiglia.
Nel 1943 si manifesta in modo esplicito la scelta dei sette fratelli Cervi di impegnarsi nella lotta contro il nazi-fascismo, che porterà alla loro fucilazione, insieme a Quarto Camurri, il 28 dicembre di quell’anno
La svolta antifascista. La vera svolta antifascista della famiglia Cervi si ha tuttavia nel 1932 con la decisa presa di posizione contro l’ingiustizia subita da Aldo Cervi mentre svolge il servizio militare.
Accusato senza prove d’insubordinazione, è condannato a tre anni di carcere militare che sconta a Gaeta. Torna a casa nel maggio 1932 trasformato: in carcere ha conosciuto prigionieri politici e discusso con loro, maturando una visione politica che lo porta ad aderire al Partito Comunista. Subito seguito dai fratelli più anziani, con il passare degli anni anche il resto della famiglia si riconoscerà in questa nuova dimensione, pur con livelli diversi di convinzione e impegno.
La propaganda antifascista. Una delle prime esperienze antifasciste la si deve ad Aldo Cervi con la creazione della Piccola Biblioteca Popolare “Unione volenterosi della lettura” creata agli inizi degli anni Trenta a Campegine. Il regime fascista aveva infatti messo al bando diverse opere, soprattutto di autori russi. Ecco, dunque, che la cultura trova il suo posto nelle prime battaglie ideologiche dei fratelli Cervi con la diffusione di libri non graditi al regime.
Non solo, i Cervi avevano a casa una macchina da stampa che utilizzavano per la produzione di volantini e opuscoli di propaganda antifascista. Con la nascita del regime, la stampa di opposizione fu soppressa e l’unico modo per fare propaganda antifascista era stampare questo materiale modo clandestino, utilizzando stampatori compiacenti o organizzando piccole tipografie segrete o facendoli stampare all’estero da persone fidate. Sono molti gli antifascisti che subiscono condanne e persecuzioni proprio per aver diffuso o anche solo conservato materiale antifascista.
Il rifiuto alla guerra. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il no alla guerra diventa ancora più evidente nella famiglia Cervi. Solo Ettore, il fratello più piccolo, decide di arruolarsi. Gli altri fratelli con vari stratagemmi riescono ad evitare l’arruolamento. Inoltre, divenuti affittuari del terreno ai Campirossi, dove sorge ora la casa, hanno un altro obiettivo: impedire in ogni modo al regime di controllare la loro produzione agricola, nascondendo una parte del raccolto. Ma questa attività non passa inosservata e nel 1942 Ferdinando e Gelindo vengono condannati ad un mese di carcere.
Già nel 1939 le autorità fasciste considerano la famiglia Cervi “di sentimenti contrari al regime”. Ed è proprio durante gli anni della guerra che la loro azione antifascista diventa più intensa, grazie anche ai legami stretti con esponenti comunisti parmensi. Iniziano a promuovere riunioni clandestine, ospitano dirigenti, raccolgono fondi per il Soccorso Rosso e diffondono volantini.
La loro azione antifascista aumenta quando nel 1943 Ferdinando e suo cugino Massimo compiono un atto di sabotaggio contro un palo della corrente elettrica a Taneto, presso Sant’Ilario d’Enza.
Pastasciutta antifascista. Il 10 luglio 1943 segna la fine del regime fascista in Italia. Gli anglo-americani sbarcano in Sicilia e il 25 luglio Mussolini viene arrestato. Al suo posto subentra un governo militare con a capo Pietro Badoglio. La gioia è tanta in tutta Italia e si spera che finalmente finisca anche la guerra.
La famiglia Cervi trova un modo originale per festeggiare la caduta del fascismo: il 27 luglio a Campegine organizzano una grande “pastasciuttata”. Le donne di Casa Cervi offrono a tutte le persone presenti in piazza del cibo preparato da loro. Una manifestazione assolutamente pacifica, ma che rende ancora più evidenti i sentimenti antifascisti della famiglia.
Una casa rifugio. Settembre 1943: inizia la fase più violenta della guerra con l’occupazione tedesca dell’Italia. Nasce però un movimento spontaneo che vede molte persone, tra cui tante donne, offrire solidarietà e rifugio ai soldati italiani e ai prigionieri di guerra stranieri per evitare che siano catturati dai nazisti.
Anche Casa Cervi diventa un rifugio temporaneo per decine di soldati di ogni nazionalità. Genoeffa e le altre donne di casa li accudiscono, offrendo loro un riparo sicuro, prima di venire smistati presso altre case contadine o aiutati a partire verso nuove destinazioni.
La prima formazione partigiana. L’ottobre 1943 segna una svolta nelle attività antifasciste dei fratelli Cervi: sono tra i primi in Emilia Romagna a costituire una formazione partigiana. La loro volontà si scontra però con alcune difficoltà, come l’inesperienza, l’impossibilità di creare una brigata stabile in montagna e mantenere la clandestinità dei membri della brigata di pianura.
Nascono inoltre alcune tensioni con i dirigenti comunisti locali sulla gestione delle brigate. I Cervi si trovano così isolati da parte del movimento sia per le diverse idee sia per la paura di rappresaglie nazi-fasciste.
La cattura. La situazione precipita quando il 25 novembre 1943, alle 6,30, la casa dei Cervi viene circondata dai fascisti. Ne consegue una sparatoria e il fienile viene dato alle fiamme. Alla fine Alcide, i suoi sette figli e altri sei uomini, tra cui Quarto Camurri, si arrendono. Vengono trasferiti in carcere a Reggio Emilia, dove sono maltrattati, mentre la casa viene saccheggiata.
I Cervi e Camurri vengono spostati nel carcere di San Tommaso, dove vengono poi interrogati e condannati alla fucilazione, nonostante non abbiano mai ucciso nessuno. Nel frattempo dall’esterno si prova a farli evadere, ma tutti i tentativi non si concretizzano.
La fucilazione. Mentre i Cervi sono in carcere, viene ucciso il segretario comunale di Bagnolo in Piano. Le autorità fasciste decidono per vendicarsi di compiere una rappresaglia, anche se l’atto non era mai stato rivendicato dai partigiani.
Il 28 dicembre 1943 presso il poligono del tiro a segno di Reggio Emilia ha inizio la rappresaglia con la fucilazione dei sette fratelli Cervi e di Quarto Camurri. I loro corpi sono seppelliti di nascosto nel cimitero di Villa Ospizio e sul giornale esce un trafiletto relativo alla fucilazione, ma i nomi delle vittime sono volutamente omessi. Nessuno infatti vuole prendersi la responsabilità di aver fatto uccidere sette fratelli tutti insieme, un evento unico nella storia della Resistenza italiana.
Dopo la tragedia. Quello che è successo è così terribile che nessuna autorità civile o religiosa ha il coraggio di informare il resto della famiglia Cervi. A farlo sarà un secondino del carcere indicando anche alle donne della famiglia dove sono seppelliti i corpi dei sette fratelli. Quando Alcide Cervi torna a casa, per settimane gli viene nascosta la verità.
La famiglia decide nonostante tutto di andare avanti con il lavoro nei campi, grazie anche all’aiuto del cugino Massimo. Si ritrovano così in quella grande casa due anziani, distrutti dal dolore, quattro vedove e undici bambini. Eppure nei mesi successivi le persecuzioni naziste non cessano e nell’ottobre del 1944 la casa viene di nuovo incendiata.
Genoeffa non riesce a reggere al dolore della perdita dei suoi figli e quasi un anno dopo la loro morte, il 14 novembre 1944, muore di crepacuore. Un’altra vittima di questo pezzo di storia.
Il mondo contadino. Durante la visita alla Casa Museo, troverete anche informazioni su una parte di storia della famiglia Cervi forse meno conosciuta: il loro profondo legame con la terra che amavano e che coltivavano con il sogno di poter diventare imprenditori autonomi, senza dover subire limitazioni dai proprietari terrieri. I fratelli sono infatti contadini che leggono e studiano, passioni trasmesse loro dalla madre, e partecipano a corsi, promossi dall’Ispettorato provinciale dell’agricoltura, per apprendere le soluzioni più all’avanguardia per gestire un’attività agricola.
Rimanere con i piedi a terra, avendo però un occhio rivolto al futuro, è un tratto che contraddistingue molti cittadini emiliani. Lo racconta molto bene anche Antonino Guareschi nelle sue opere, come Don Camillo. Se volete approfondire, vi rimando a questo articolo di Kristina sul blog “Nerd in spalla” dedicato proprio a Casa Archivio Guareschi: Roncole Verdi – Una Mostra in osteria.
Un altro interessante modo per scoprire il mondo contadino e la storia di uomini e donne comuni, proprio come la famiglia Cervi, è quello di visitare il Museo Guatelli dove troverete esposti moltissimi pezzi e cose d’uso comune. Ne parla Clarice del blog “Le Claricette” in questo articolo: Il Museo Guatelli, storie appese.
Se siete curiosi di scoprire altre case museo dell’Emilia, potete scoprirle andando sulla pagina Instagram di Viaggi.Cibo.Emilia una community di blogger nata per promuovere la cultura e la storia del territorio emiliano. E ovviamente, se visitate uno dei posti proposti, non dimenticate di taggarci!
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